Il tumore della mammella è la neoplasia solida più frequente nel mondo sviluppato. Oltre un milione di nuovi casi sono diagnosticati nel mondo ogni anno, di cui oltre 350.000 solo in Europa, rimane la principale causa di morte nel sesso femminile. Tuttavia, per nessun altro tumore solido abbiamo assistito ad una vera e propria rivoluzione nella diagnosi e nella terapia.
Oggi, la maggior parte di queste neoplasie sono diagnosticate in una fase precoce e sono trattate spesso con terapie poco invasive, efficaci e personalizzate. Questo processo è iniziato alcuni decenni fa. La mastectomia radicale, un intervento devastante e disfigurante, fu inizialmente introdotta da un chirurgo americano, William Halsted di Baltimora, verso la fine del XIX secolo ed ha rappresentato per quasi un secolo, in un periodo in cui la diagnosi precoce era sconosciuta e non vi erano terapie complementari efficaci, il trattamento quasi esclusivo per il tumore della mammella.
Questo intervento, pur avendo il pregio di mantenere un buon controllo locale di malattia grazie alla sua radicalità, non poteva garantire la guarigione. Infatti, la curabilità del tumore della mammella fino agli anni ’70 si attestava intorno al 50% dei casi persino negli stadi iniziali.
Da allora, anche grazie al contributo dei ricercatori italiani, sei studi prospettici e randomizzati nel mondo hanno dimostrato ad una comunità scientifica scettica e tendenzialmente dogmatica la sostanziale equivalenza della mastectomia e della quadrantectomia seguita dalla radioterapia. La conservazione mammaria ha da allora aperto la strada ad una migliore accettabilità della malattia, una migliore comprensione dei suoi meccanismi biologici, alla diagnosi precoce. Per la prima volta, si è potuto parlare di neoplasia alla mammella, non abbassare gli occhi per paura di un intervento disfigurante. Non a caso, quasi contemporaneamente sono partiti i primi studi sullo screening mammografico, che hanno permesso la diagnosi sempre più frequente di tumori piccoli, non palpabili, a volte piccolissimi, e quindi guaribili in quasi il 100% dei casi.
Contemporaneamente, il mondo scientifico ha iniziato a capire che per vincere questa battaglia vi è necessità di un’importante organizzazione. Oggi, le “Breast Unit” sono concepite come task force multidisciplinari, con molte figure professionali che uniscono le loro forze per produrre una convergenza di terapie efficaci.
In letteratura, ci sono molti studi che ormai indicano in modo molto convincente che le pazienti con diagnosi di neoplasia della mammella trattate in centri specializzati e da personale dedicato hanno una guaribilità maggiore rispetto a quelle trattate in centri non specializzati.
Lo specialista cioè, è stato riconosciuto come un vero e proprio fattore prognostico. Per questo motivo il parlamento Europeo ha emesso in data 5 maggio 2010 una dichiarazione ufficiale che impegna gli Stati membri ad organizzare delle unità multidisciplinari entro il 2016 e protocolli di certificazione entro il 2011, “…poiché è stato dimostrato che il trattamento aumenta le possibilità di cura ed aumenta la qualità della vita…”.
Nel prossimo futuro le donne con questa malattia verranno curate quasi sempre in centri di alta specializzazione e da personale dedicato. Questo, sappiamo, si traduce in un aumento delle terapie conservative, ed all’uso appropriato di terapie complementari adeguate. Rappresenta, quindi, un passo in avanti fondamentale per raggiungere il nostro obiettivo di cura, e sarà implementato non tanto e non solo dalle leggi e delle disposizioni, ma dalla richiesta e dalla consapevolezza delle donne.
Oltre alla conservazione mammaria almeno altre tre innovazioni hanno caratterizzato il miglioramento della terapia chirurgia della mammella.
1) Il linfonodo sentinella permette oggi di evitare uno svuotamento ascellare nella maggior parte dei casi mediante l’identificazione, dopo una piccola iniezione di un materiale tracciante, del primo linfonodo di drenaggio. Questo viene identificato intra-operatoriamente con una sonda a raggi gamma, e rimosso dopo un piccolo taglio ascellare. Se il primo linfonodo di drenaggio non è malato, anche quelli che vengono dopo sono sani, e quindi possono essere lasciati a svolgere i loro compiti normali, evitando quindi il rischio di effettuare un intervento inutile e potenzialmente dannoso.
2) L’oncoplastica, cioè la chirurgia plastica applicata alla chirurgia senologica, ci permette oggi di estirpare il tumore mediante tecniche che normalmente vengono utilizzate per rendere i seni più belli. Vogliamo che questo possa essere un diritto per tutte quelle donne che desiderano, una volta colpite dal tumore, presentarsi esteticamente anche meglio di prima.
3) La ricostruzione immediata dopo mastectomia, ormai sappiamo, non è dannosa, anzi permette di continuare una vita normale senza la cicatrice della disfigurazione.
La Nipple sparing mastectomy rappresenta da questo punto di vista la tecnica oggi più avanzata e che sempre più spesso viene utilizzata, permette la rimozione della ghiandola mantenendo l’involucro, cioè la cute ed il complesso areola capezzolo, con un grande vantaggio estetico per le pazienti.
Oltre alla chirurgia anche la radioterapia ha compiuto molti passi in avanti, ed oggi sappiamo con certezza che non è necessario effettuare in tutti i casi una radioterapia su tutta la mammella della durata di 5-6 settimane, ma che nei casi meno aggressivi ed in donne sopra i 50 anni si può considerare la radioterapia intra-operatoria, ovvero la radioterapia post-operatoria parziale ed accelerata, della durata di 2 settimane, con riduzione del disagio organizzativo.
Non vi è dubbio, tuttavia, che la sfida più importante nei prossimi anni, che richiederà la maggior parte della nostra attenzione e dei nostri sforzi, è rappresentata dalla comprensione dei meccanismi biologici che governano la progressione ed il comportamento del cancro della mammella. Già oggi riconosciamo che non esiste un solo cancro della mammella, ma che ne esistono vari tipi, con comportamenti diversi e suscettibili di approcci diversi. Questo ci rende non solo più precisi, ma più forti, perché la conoscenza approfondita del nemico ci permette di avere vantaggi tattici e strategici.
Quindi oggi analizziamo in dettaglio le caratteristiche biologiche di una determinata neoplasia, e la classifichiamo in luminale (A o B), neu+, o basale a seconda delle espressioni immunistochimiche delle cellule che la compongono. A breve, saranno sempre più diffuse ed accessibili analisi genetiche dettagliate del tumore, per capire con ancora maggiore specificità i suoi punti deboli e le sue caratteristiche. Tutto questo ci consentirà di attaccarlo meglio conoscendo in anticipo quali sono i tumori che rispondono meglio, o che non rispondono, ad una determinata terapia. Moduleremo cioè le nostre terapie sulla base delle caratteristiche specifiche di un determinato tumore.
Infine, non abbiamo dubbi che con il progredire delle tecniche radiologiche e con la sempre maggiore diagnosi precoce, si sta avvicinando l’era in cui non tutte le neoplasia saranno trattate con la chirurgia in prima battuta, ma potranno essere asportate con tecniche microinvasive mediante l’uso di sonde poco più grandi di un ago che verranno inserite nella ghiandola mammaria sotto la direzione di un sistema computerizzato molto preciso per distruggere o asportare il tumore.
Vi abbiamo raccontato una storia, orribile perché colpisce i nostri affetti, le nostre mamme, le nostre mogli, le nostre sorelle, a volte addirittura le nostre figlie; ma in qualche modo affascinante perché è una storia di progresso e perchè siamo consapevoli di essere sempre più vicini alla vittoria finale.
Gran parte di tutto questo è stato ottenuto grazie al contributo di centinaia di migliaia di donne che hanno partecipato alla ricerca clinica, agli studi medici controllati. A tutte loro va il nostro ringraziamento ed il nostro tributo.
Anche per questo vogliamo concludere con l’ultimo passo in avanti che la medicina ufficiale deve compiere. Quello del miglioramento della qualità della vita. Abbiamo visto che il cancro della mammella sta diventando sempre più guaribile, e in questo momento vivono nel mondo oltre 8 milioni di donne sopravvissute alla diagnosi. Per tutte queste donne, il re-inserimento nella società e nella famiglia, il bisogno di prospettive, di obiettivi, il recupero della propria immagine corporea sono bisogni fondamentali, forse non meno importanti della cura stessa. Non basta più dire: ti faccio un buon intervento, ti propongo una buona chemioterapia, poi se ti cascano i capelli, se vai in menopausa, se ti viene l’osteoporosi, se perdi la tua vita di relazione… noi non siamo pronti a pensarci…pensaci tu.
Anche noi, negli ospedali, nei luoghi di cura, possiamo e dobbiamo fare di più.
Questa, come altre, è la sfida appassionante che ci apprestiamo a vincere.
Articolo di M.Remedi